Questa O.S. non può esimersi dal registrare l’allarmante escalation del numero di
procedimenti disciplinari avviati in azienda nei confronti del personale che, a qualsiasi livello, è
impegnato in produzione.
L’elevato numero dei procedimenti in atto e, soprattutto, l’esponenziale tasso di crescita del
fenomeno impone alcune riflessioni che, desideriamo, evidenziare con l’enfasi e l’importanza
necessaria a creare la giusta attenzione negli attori coinvolti/interessati.
La questione è particolarmente delicata per i mille risvolti che ricadono, interamente, sui
Lavoratori colpiti e perché, oggi, essa sfugge a qualsiasi, oggettivo, riscontro da parte dei
Rappresentanti dei Lavoratori.
In un’Azienda che, spesso, fonda la sua azione sul pressing esasperato, sul messaggio border
line, sull’esercizio delle pressioni finalizzate ad arrivare “comunque” all’obiettivo, minimizzando
attività e/o comportamenti di diretta responsabilità della forza lavoro, succede che i Lavoratori
vengano sanzionati senza alcuno spazio e/o possibilità di replica.
E più si assumono responsabilità, più si alza il livello del ruolo ricoperto in Azienda, più si
è soggetti ad interventi sanzionatori, rispetto ai quali, ripetiamo, il Lavoratore ha ben poche
possibilità di difesa.
Allo stesso tempo, ed in maniera direttamente proporzionale, più si va gerarchicamente in
alto più si è soggetti ad indebite forme di pressioni o ricatti che paventano, sempre di più, lo
spauracchio del possibile procedimento disciplinare.
Riteniamo, inoltre, che il rapporto che dovrebbe essere equilibrato, tra Inquirente/Istruttore
e Lavoratore sia, invece, enormemente sbilanciato a favore dei primi e che il sistema offra, nella
realtà, bassissime possibilità di difesa ed autotutela al Lavoratore.
C’è, insomma, una evidente disparità tra chi accusa e chi deve difendersi.
Con l’aggiunta che chi, alla fine del processo, giudica è parente (strettissimo) di chi accusa.
Questo pone (serissimi) dubbi sulla corretta istruzione di molte pratiche disciplinari e,
soprattutto, sull’esito (scontato) delle stesse.
Ci fa riflettere il sempre più elevato numero di procedimenti avviati, a volte, senza i
necessari supporti, spesso, senza una reale violazione “normativo-regolamentare”, ma solo sulla
scorta di (opinabili) deduzioni messe nero su bianco nelle relazioni ispettive che, quasi sempre,
diventano ‘Sentenze di Cassazione’.
Il che rende anche necessario rivedere ed aggiornare le professionalità (e l’approccio)
all’interno delle strutture aziendali deputate all’istruzione di dette pratiche.
Questa evidente disparità ci induce, inoltre, ad ipotizzare un utilizzo dello strumento non
oggettivo.
Funzionale, cioè, a quei principi di etica e trasparenza, assolutamente indispensabili in un
campo delicatissimo come quello trattato, ma che, invece è, qualche volta, funzionale a ben più
miserevoli ed inesplicabili obiettivi.
C’è, ancora, un altro deplorevole aspetto della questione che merita la massima attenzione:
chi entra nel tritacarne di un procedimento di questo tipo ne esce “sempre” con una ferita. A
prescindere.
Ed hai voglia di dimostrare di esserti attenuto a regole, normative, codici etici e
deontologici: se parte il procedimento, questo si DEVE chiudere, comunque, con una sanzione.
E le sanzioni, dure o leggere che siano, restano a carico del Lavoratore.
Che ne avrà ripercussioni in termini economici, di carriera, personali.
Ultima riflessione: riteniamo che nel contesto attuale con le disfunzioni organizzative, con
istruzioni sempre piu verbali, la scarsa qualità del servizio postale e finanziario reso alla clientela, i
lavoratori, senza distinzione di ordine e grado, rischiano di essere quotidianamente sanzionabili in
quanto l’azienda ‘’pianifica’’ contraddizioni operative e/o gestionali che inesorabilmente il
lavoratore si scontra.
Crediamo, allora, importante restituire allo strumento una reale valenza di accertamento
super partes che porti, senza forzature, né esasperazioni, ad un oggettivo, professionale, riscontro
dei fatti, e ad una valutazione degli stessi alla luce di norme, regolamenti, etica comportamentale,
ma che tenga conto anche dell’aspetto umano.
Se poi un procedimento disciplinare, erroneamente impostato, potesse anche concludersi
con uno “scusi, ci siamo sbagliati” non sarebbe disdicevole per nessuno. Anzi, sarebbe un
momento di grande forza. Per l’Azienda e per chi, in questo contesto, è deputato a rappresentarla.
Palermo, 15.02.2014 Il Segretario Regionale slp-cisl
Giuseppe Lanzafame
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